Beato Piergiorgio Frassati

di Fra Roberto M. Viglino o.p.

Chi è il Beato Pier Giorgio Frassati, giovane laico domenicano, modello dei giovani domenicani e “profezia” per i nostri tempi del carisma laicale giovanile della nostra Famiglia?

Pier Giorgio è un giovane come tanti altri, nato a Torino il 6 aprile 1901 da una famiglia dell’alta borghesia torinese. Il padre Alfredo era proprietario e direttore del giornale “La Stampa”, personalità eminente del mondo politico e culturale di allora, poi ambasciatore a Berlino. Pier Giorgio trascorre un’infanzia normale, vivace e generosa; comincia ben presto ad approfondire il suo rapporto spirituale con Dio, lo sente profondamente vicino nella sua vita di adolescente. E’ portato verso l’armonia e la bellezza delle cose. Si interessa di pittura, arte, musica, letteratura, poesia. Dopo il liceo si iscrive al Politecnico per fare Ingegneria: è il 1919, si trova negli anni scottanti del dopoguerra. Sono tempi di fermento, anche all’Università ci sono grandi dibattiti sul futuro che l’Italia deve avere. Il confronto è acceso tra socialisti,cattolici e fascisti. Non vanno tanto per il sottile nella battaglia delle idee. Pier Giorgio decide di entrare nel circolo “Cesare Balbo” della FUCI (la Federazione degli Universitari Cattolici Italiani). Nel maggio del 1924 i sinceri legami di amicizia lì intessuti assumono una forma più precisa con la fondazione della “società dei Tipi Loschi”, un’associazione dal volto semiserio. Lo scopo è quello di aiutarsi a vivere da cristiani, incontrarsi, mettere in comune le esperienze di vita e di preghiera, il vero “collante” che li unisce, senza perdere lo spirito goliardico. Quando uno studente del politecnico aveva un problema, la soluzione nota a tutti era “va da Pier Giorgio che sicuramente ti aiuta”. Si iscrive anche all’Azione Cattolica e alle Conferenze di S. Vincenzo, ai cui incontri ed iniziative partecipa attivamente. Il segreto della sua forza e dello slancio spontaneo e generoso che lo contraddistingue è nella preghiera: l’Eucaristia quotidiana e il Rosario sono i pilastri che fondano le basi e animano la sua vita di studente cristiano pluri-impegnato nel sociale. Una spiritualità robusta, maturata col tempo, forte di una grande devozione mariana. A chi gli chiede se è un bigotto, risponde: «No, sono rimasto cristiano». Da questa risposta disarmante traspare il suo continuo, profondo, intimo colloquio con Dio. La preghiera di Pier Giorgio assume le note della più alta spiritualità. Sappiamo quanto sia difficile mantenersi fedeli nella vita di preghiera. Appare perciò stupefacente la costanza con la quale Pier Giorgio resta quotidianamente fedele al proprio impegno, proprio negli anni in cui la dirompente giovinezza sembrerebbe renderlo più arduo. Il suo primo pensiero è sempre quello di assicurare uno spazio di preghiera personale alle sue giornate, poiché avverte come altrimenti esse perderebbero il loro significato più autentico.

Si dedica ininterrottamente all’apostolato tra le famiglie più povere, che visita regolarmente. Quando avvicina un povero, dona tutto se stesso, senza pensarci due volte: non c’è vera carità che non nasca dall’umiltà, dice. E spesso non gli rimangono neanche i soldi per il tram. Dopo la sua morte, tantissimi poveri testimonieranno che, non appena lui arrivava nelle loro case o li incontrava per strada, subito il loro cuore si colmava di gioia, ed era sempre una festa che faceva dimenticare la miseria quotidiana: tutti riconoscevano in quel ragazzo qualcosa di straordinariamente luminoso e singolare. Già sembra essergli riconosciuta una bellezza interiore che lasciava intravedere il Cielo. Verso la fine di giugno del 1925, Pier Giorgio comincia ad accusare dei malesseri. Sembra influenza, saranno invece gli ultimi giorni della sua vita. In sei giorni la poliomielite fulminante, probabilmente contratta in uno dei luoghi dove andava a trovare i poveri, stronca il suo fisico apparentemente indistruttibile, da ragazzo prestante appassionato di scalate in alta montagna. La diagnosi si viene a sapere solo quando ormai è troppo tardi. Si consuma rapidamente; paralizzato nel suo letto non si lamenta: non una richiesta per sé, solo per i suoi poveri, i suoi “tesori” per il Cielo. Si spegne serenamente il 4 luglio 1925, dopo aver ricevuto la comunione e l’olio degli infermi. Aveva confidato ad un amico: “il giorno della mia morte sarà il giorno più bello della mia vita” e “bisogna vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo, per prepararsi all’Incontro”. La folla che partecipa ai funerali è sterminata: giovani, anziani, ricchi, poveri, tutti lo conoscono, pochi sanno che è un Frassati. Gli stessi genitori sono stupiti ed esterrefatti di tanta popolarità, e scoprono solo ora del calore e dell’affetto che circondava il figlio: a differenza dei poveri, non l’avevano capito fino in fondo… La santità non ha bisogno di nomi per farsi strada. Gli stessi amici di Pier Giorgio, i compagni, quanti lo hanno conosciuto e amato subito chiedono che la Chiesa dia inizio all’iter per la causa di Beatificazione. Passano gli anni, finché il 20 maggio 1990 un vecchio Papa, Karol Woityla, che da studente aveva sentito parlare di questo giovane, lo proclama Beato e lo propone ai giovani del nostro tempo come modello da seguire.

Due tappe fortemente significative segnano la sua esperienza interiore: si innamora di una sua compagna di Circolo, Laura Hidalgo; ma conserva nel cuore il segreto di tale amore e vi rinuncia per salvare il matrimonio dei genitori, in forte crisi. Perché, si chiede Pier Giorgio, che senso ha “metter su” una famiglia se ciò è a costo di sfasciarne un’altra? E’ una decisione dolorosa e sofferta, per la quale, alla fine di un lungo travaglio personale, nonostante tutto si risolve, poiché avverte intimamente che quella è la volontà di Dio, il vero bene. E’ un primo “martirio”, da cui uscirà spiritualmente fortificato e pronto per le successive prove della vita spirituale e delle evenienze della vita… .

Nell’anno 1922, infine, Pier Giorgio fa’ il suo ingresso nella Famiglia Domenicana. L’ideale di San Domenico e del Terz’Ordine è l’approdo finale ed il coronamento della sua giovane esistenza. In esso egli trova l’armoniosa sintesi tra vita interiore (vita di Grazia, preghiera ed unione con Dio) e vita esteriore che si consuma nell’impegno nella vita sociale e politica. Per lui la promozione umana non sta solo nell’aiutare i poveri, ma anche nell’operare perché la loro vita possa essere “integralmente” migliore. E’ affascinato dal progetto di riforma della società secondo lo spirito del Savonarola: è convinto che una promozione umana autentica, attenta cioè alla pienezza della dignità della persona, debba coinvolgere, alla luce del Vangelo, ogni aspetto della personalità e tutto l’ordine civile. Prende il nome di fra Gerolamo, per l’ammirazione che nutre verso lo stesso Savonarola. Legge appassionatamente San Tommaso e, soprattutto, Santa Caterina da Siena. Agli amici sempre confidò che l’ingresso nel Terz’Ordine domenicano costituì il passo decisivo della sua vita, da cui sentiva di avere tratto enorme beneficio spirituale; per questo li esortava a compiere anch’essi questo passo. Scrive ad un amico: “ Sono contentissimo che tu voglia far parte della grande famiglia di San Domenico, dove, come dice Dante, “ben si impingua se non si vaneggia”. Gli obblighi sono piccolissimi, altrimenti dovresti capire che io non potrei appartenere ad un ordine che obbligasse molto…”.

Pier Giorgio, semplicemente, si è comportato da laico nella Chiesa e da cristiano nel mondo. Alla domanda se si può parlare di “normalità” della sua esistenza, p. Molinari, postulatore della causa di beatificazione, dirà: «Sì. Nel senso che visse pienamente quel che tutti noi dovremmo vivere normalmente. Ragazzo, giovane, ha attraversato le fasi tipiche della maturazione, i dubbi, le speranze… Nello studio, in famiglia, con gli amici, nel servizio ai poveri, aperto a tutte le realtà, sorretto da una robusta spiritualità. Vorremmo davvero che questa fosse la “normalità” per tutti ». Poiché, come diceva Pier Giorgio, “bisogna vivere, non vivacchiare”, con la profonda saggezza di chi non ha posto tanto la sua vita al servizio del proprio pensiero, bensì ha posto il proprio pensiero al servizio della Vita: in altre parole, nient’altro che la vocazione domenicana…in tutta la sua perenne attualità. La stessa attualità che l’esperienza di Pier Giorgio continua ad avere per noi, oggi. Il suo modello e la sua intercessione ci incoraggino e ci aiutino a seguire fino in fondo la nostra vocazione al servizio di Cristo, nella Chiesa e nel mondo di oggi.