Pubblicata in "Dominicus 2014/4"
di Cannaò' Alberto
1701-1798 Card. Girolamo Casanate (fondo iniziale)
Girolamo Casanate nacque a Napoli il 13 febbraio 1620 e, attratto dal mondo ecclesiastico, si avvicinò al mondo domenicano dove prese la tonsura nel 1633 senza tuttavia entrare nell’ordine ed a quindici anni divenne “dottore in utroque iure” esercitando poi l’avvocatura.
Durante uno dei viaggi col padre, dignitario della corte partenopea, conobbe il cardinale Pamphilj, futuro papa Innocenzo X, che lo introdusse nella carriera ecclesiastica.
Dopo un susseguirsi di cariche minori, nel 1648 ebbe il governatorato della Sabina dove iniziò a farsi notare grazie alla sua intelligenza. Da qui in poi la sua carriera crebbe fino alla porpora cardinalizia nel 1673, ma solo nel 1686 fu ordinato sacerdote e nel 1693 da Innocenzo XII fu dichiarato “Bibliotecario di Santa Chiesa”.
Nel 1655, il 27 agosto, il prelato scrisse al cardinale Facchinetti asserendo di voler originare una biblioteca fondandola su quella del padre. Da questa data innanzi si adoperò per realizzare il suo proposito, tanto che già nel 1664 “la libreria di monsignore Girolamo Casanate, di varie scienze legali e di erudizioni” era fra le migliori nella città di Roma.
Inizialmente l’idea del Casanate era di una biblioteca di utilizzo solo dei Cardinali. In concomitanza con l’idea del Casanate si affacciava quella di Giovanni Maria Castellani, che decise di donare la sua biblioteca ai frati domenicani di Santa Maria sopra Minerva, biblioteca che, a differenza delle altre, doveva essere di libera consultazione e che abbracciasse tutte le arti e le scienze, ma il fondo iniziale era troppo esiguo.
Solo quando si aggiunse, dopo la morte del Cardinale, il materiale librario della biblioteca del Casanate, si riuscì a fondare la biblioteca Casanatense di Roma.
Il pensiero del Casanate di costituire la sua biblioteca nel convento della Mi - nerva è il frutto del forte legame che l’alto prelato aveva con l’ordine. C’era un legame a doppio filo fra di loro; da una parte il Casanate era molto considerato per gli incarichi che aveva svolto contro le tendenze eretiche che si diffondevano all’interno della Chiesa, e dall’altra parte c’era il suo interesse per la dottrina tomista, alla base della dottrina cattolica post-tridentina.
Biblioteca del maestro dell’ordine dei predicatori (Fr. Antonino Cloche)
Tutto questo fece sì che il Cardinale decidesse nel suo testamento di lasciare la sua biblioteca ai frati domenicani ed in particolar modo al maestro dell’ordine, che in quel periodo risiedeva ancora nel convento della Minerva. Sulla lapide, che è posta in cima alla scala a chiocciola, che era l’iniziale via d’accesso alla biblioteca, si vede che la biblioteca ebbe tre “autori”, rispettivamente il Castellani che diede il denaro e l’idea della biblioteca pubblica, il convento che diede gli spazi, ed il Casanate che donò il fondo principale.
Dopo la morte del Casanate, il 3 marzo 1700, il maestro dell’ordine Antonino Cloche iniziò l’opera di inventario non solo dei libri, poiché il testamento del porporato lasciava all’ordine tutti i possedimenti esterni al Regno di Napoli. I beni incamerati servirono per la gestione della biblioteca e, visto che avanzavano, lo stesso Casanate previde l’istituzione di una cattedra tomista e di due lettori per lo studio della Summa tomistica.
La biblioteca era di proprietà diretta del maestro dell’ordine (come tutto il complesso della Minerva) e la sua direzione era composta da sei domenicani: il maestro dell’ordine, il maestro del Sacro Palazzo Apostolico, il Commissario del Sant’Offizio, il Segretario dell’Indice, il Procuratore generale ed il priore della Minerva.
Per trovare gli spazi per collocare la biblioteca, i frati dovettero ideare e costruire un salone che la potesse contenere nella parte occidentale del convento sopra la sacrestia della basilica. In un primo momento i lavori interessarono un’area minore dell’attuale biblioteca, tanto che il semplice salone del primo progetto era grande appena la metà di quello attuale. Il salone prevedeva due ordini sovrapposti di scaffalature; per raggiungere il secondo livello ci si doveva servire di una scala che conduceva a un ballatoio. Il problema maggiore, come in tutte le biblioteche, era l’illuminazione e, dato che gli spazi utilizzati furono ricavati da una nuova sistemazione del convento, il problema fu risolto in maniera innovativa: costruire le finestre più in alto possibile; inoltre nella volta a botte che costituiva il soffitto del salone vennero inserite, lungo tutto il perimetro, lunette che racchiudevano finestre; in questo modo non si tolse neppure spazio per i libri essendo le pareti totalmente libere da finestre.
Questa scelta, definita dai contemporanei goffa, fu ripresa largamente dagli architetti razionalisti del secolo scorso.
Negli anni successivi furono apportate leggere modifiche, specie di carattere decorativo; così si ebbe che nel 1704 si aggiunsero due lapidi: una che, come abbiamo già visto, ricorda i tre contributi essenziali della biblioteca, e la seconda che esprime il compito della biblioteca stessa; quattro anni dopo fu collocata la statua del Casanate; nel 1710 furono poste altre lapidi, una di esse riporta una bolla di Clemente XI del 18 luglio 1703, che afferisce al divieto di togliere libri dalla biblioteca sotto pena di scomunica e che la stessa poteva conservare i libri messi all’Indice; e nel 1716 furono collocati i due magnifici mappamondi che rappresentano la volta celeste uno e l’altro la terra, ancor’oggi presenti nel salone.
La vita effettiva della biblioteca si ebbe dal 7 luglio 1700 quando si riunì il primo collegio dei deputati del consiglio e vennero eletti i sei teologi, i due cattedratici ed i bibliotecari; il 7 marzo iniziarono le lezioni di teologia ed infine alla presenza dei deputati, dei teologi, dei cattedratici, di moltissime alte autorità uno dei due bibliotecari, fr. Filamondo, lesse pubblicamente il discorso di apertura.
Inizialmente si creò un catalogo dove il materiale librario era ordinato solo per lingua e per autore, non permettendo quindi alcuna ricerca fatta sulla base della materia trattata. Per questo i frati decisero di risistemare in maniera totale tutto il patrimonio, suddividendo i libri dapprima per materia e successivamente per formato.
La crescita del patrimonio librario della Casanatense iniziò da subito; i due bibliotecari iniziarono a comprare libri di varie materie da molti librai per man tenere l’idea iniziale del Casanate della vasta apertura mentale. Ben presto si adottò anche qui la moda ampiamente adottata da altre grandi biblioteche di comprare non più solo libri, ma anche intere collezioni e biblioteche private. Ciò costrinse i frati nell’aprile del 1719 a iniziare i lavori per l’ampliamento della biblioteca che, dopo una serie di divergenze legali di vario genere, giunsero a compimento per la visita del pontefice Benedetto XIII, nel 1729, a dieci anni di distanza dall’inizio dei lavori e dopo quasi trent’anni dalla sua fondazione. Negli anni successivi la biblioteca comprò vari ambienti di proprietà del convento della Minerva, sempre per garantire spazi per una biblioteca in costante crescita.
Fr. Giovanni Battista Audifreddi (catalogo Audifreddi)
L’acquisizione di materiale librario continuò costantemente pur con una breve pausa di tre anni dal 1730 al 1733, quando si decise di interrompere l’acquisto per poter ostenere le spese per l’ampliamento del salone. L’età d’oro della biblioteca fu certamente quella dell’Audifreddi, ma il suo prefettato fu preceduto da altri due grandissimi prefetti: Gian Domenico Agnani (1680-1746) e Pio Tommaso Schiara (1691-1781). Nel 1755 si decise di mettere a stampa il catalogo della biblioteca, decisione a lungo nell’aria ma sempre rinviata dato il continuo aumento librario; il 21 dicembre dello stesso anno i Padri Deputali decisero che il catalogo “comprendesse in un’unica serie alfabetica i nomi degli autori ed il titolo delle opere anonime, indicando la collocazione di ciascun libro”. Questa opera fu fatta da Giovanni Battista Audifreddi, che dal 1759 fu nominato primo bibliotecario fino alla morte che giunse nel 1794.
Il catalogo segnò certamente una svolta non solo per la biblioteca, che acquisì prestigio e fama per un’opera tanto scientifica quanto essenziale per una biblioteca moderna, ma diede inizio a una nuova idea di catalogo per autore.
Il catalogo a stampa si prefisse il compito di esportare l’elenco del materiale conservato alla Casanatense da semplice strumento per il recupero del materiale all’interno della biblioteca stessa, ad un mezzo d’informazione capace di mostrare e rendere nota la vera realtà del patrimonio bibliografico della libreria dei predicatori a studiosi senza che essi dovessero arrivare fino a Roma.
Una tra le principali innovazioni che pensò ed attuò l’Audifreddi fu l’unificazione nella medesima intestazione dell’opera omnia di ogni autore indicando con precisa ed accurata analisi i vari legami che vi erano fra i diversi titoli contenuti in essa; in questa operazione si vede con chiarezza lo studio analizzando le varie edizioni di un’opera con titoli differenti, traduzioni di una medesima opera, rifacimenti e varie mutazioni della stessa. Questo fece sì che il catalogo Audifreddi non fosse solo un semplice indice analitico, ma un prodotto di alta biblioteconomia con un chiaro pensiero e ragionamento di fondo che mai prima di allora si vide e che fu preso ad esempio per le generazioni future come guida per ogni catalogo di lì a venire.
Il catalogo, come abbiamo detto, segue l’ordine alfabetico degli autori prendendoli per il loro cognome; la lingua con cui vengono inseriti è quella nella quale l’autore stesso pubblica le opere di maggior interesse; in caso di autori privi di cognome l’Audifreddi sceglie di catalogarli seguendo il toponimo di riferimento per tali autori; esso accetta come “autori” anche enti quali Biblioteche, Accademie, Università, etc, etc. Le altre informazioni che l’Audifreddi identifica (data di nascita ed eventualmente di morte) sono messe subito dopo il nome. Per le opere di autori anonimi decide di catalogarle seguendo il primo sostantivo presente nel titolo e non come veniva fatto in precedenza, secondo la tradizione, identificando la parola chiave del titolo (cosa alquanto aleatoria); rientrano in questa categoria non solo le opere anonime ma anche frutto di più autori.
1798-1886 Governo francese-romano
Il XIX secolo fu un secolo che sconvolse l’Europa non solo sul piano politicostatale; ci fu anche un profondo mutamento sociale e culturale che, cambiando l’asse del potere, ridisegnò anche la natura e le motivazioni delle presenze bibliotecarie nelle varie città. L’invasione francese del 1798 diede avvio ad una vera e propria confusione e al susseguirsi di repentini cambi di governo a Roma; la proclamazione della Repubblica Romana con il conseguente esilio forzato di Pio VI mise nel disordine totale la città.
La Repubblica nel marzo 1798 incamerò la Biblioteca e, tra le varie ordinanze, “vietò con bolle e gravi parole di dare ai giovani libri osceni, ma con comando di dare senza difficoltà quelli contro la religione o la chiesa o di condanna filosofica ed empi, giacché, si diceva, la Repubblica non riconosceva l’Indice dei libri proibiti”. Sempre il Masetti affermò che il nuovo governo preferì, almeno per senso pratico, lasciare ai frati predicatori la direzione della Casanatense, invece di affidarla ad impiegati civili che non la conoscevano.
Il 10 maggio, su ordine del governo, furono soppressi moltissimi conventi della città, e i frati che non erano né cittadini francesi né romani furono costretti ad abbandonare Roma e a tornare nei rispettivi paesi di origine; questa fu anche la sorte del maestro dell’ordine Baltasar De Quiñones, dei padri curatori e di buona parte dei padri delegati; successivamente furono cacciati anche i lettori ed i teologi, facendo rimanere nella Biblioteca praticamente solo i due bibliotecari. Nell’articolo XII del proclama di soppressione veniva identificata una commissione interna del nuovo “Istituto Nazionale” col compito di scegliere gli oggetti più preziosi radunandoli in “strutture statali” col compito di evitare la loro vendita o furto; così si decise di indirizzare “i libri preziosi alla Biblioteca della Minerva [si intende la Casanatense] ed i manoscritti a quella Vaticana, i quadri, le statue ed i marmi al pubblico museo”. Le biblioteche di molti conventi furono effettivamente messe in vendita (o date in pasto ai topi), ma ben 25 mila volumi, scelti da questa commissione, furono incamerati dalla Vaticana, che in seguito restituì il materiale. Tuttavia non ci sono prove documentarie di libri provenienti da altri conventi convogliati alla Casanatense, mentre si sa per certo che fu anch’essa vittima di gravi e
pesanti sottrazioni. Varie volte il governo cercò di bloccare queste ruberie; a difesa delle biblioteche il Ministro Franceschi proibì rigorosamente di consegnare qualsivoglia libro a chicchessia senza un esplicito permesso scritto e firmato dal ministro stesso.
Nei nove anni che vanno dal 1800 al 1809 ritornò il potere pontificio su Roma e ciò diede un periodo di serenità e tranquillità alla Biblioteca che in questo modo poté dedicarsi non tanto all’ampliamento bibliografico, ma al riordino ed al recupero (dov’era possibile) del patrimonio disperso in quei terribili due anni di Repubblica Romana. Il card. Consalvi, Segretario di Stato, nel 1801 emise un decreto minacciante pene molto severe nei riguardi di chi si fosse macchiato di furti di manoscritti o libri in generale dalla biblioteca;
ciò ci fa capire che, ormai all’alba del XIX secolo, la scomunica non bastava più a garantire la legge. Nel 1802 i curatori tornarono a riunirsi decidendo di chiudere l’ufficio dei cattedratici e dei teologi per potersi concentrare sulla biblioteca in senso stretto; la situazione economica della biblioteca migliorò.
Con l’arrivo della dominazione napoleonica i tempi per la Casanatense tornano bui; i padri curatori furono esiliati e la stessa, se da una parte fu dichiarata municipalizzata, dall’altra l’amministrazione rimase all’ordine, nelle mani di fr. Giacomo Magno. Sebbene non come durante il periodo della Repubblica Romana, anche in questo periodo la Biblioteca subì furti e fu considerata terra di conquista per bibliofili e collezionisti.
Il 28 maggio 1810 entrarono in vigore le nuove leggi per la soppressione degli Ordini e fu nominato un commissario per ogni ente religioso; la Casanatense non ne fu esente, così il 24 aprile 1811 fu inviata a Parigi una copia del catalogo a stampa; il 26 agosto 1812 un decreto impose la temuta requisizione di libri e manoscritti delle biblioteche conventuali e monastiche e i migliori furono indirizzati alla Vaticana e ad altre due nuove biblioteche da realizzare da capo, una per il sovrano e l’altra a disposizione dell’Accademia di San Luca. Il restante dei libri fu dato alla Municipalità e, sotto richiesta del Magno, fu riportato alla Casanatense.
Solo dopo il ritorno del pontefice Pio VII, nel maggio del 1814, iniziò il ritorno del patrimonio librario alla Biblioteca Casanatense. Così iniziò un periodo di tranquillità; riprese l’aumento bibliografico, anche se era ormai lontano il ricordo del florido periodo di prefettura dell’Audifreddi. Il “canto del cigno” della Casanatense come biblioteca dell’ordine fu nel 1819 quando l’abate Giovanni Antonio Riccy morendo diede in eredità alla Biblioteca 1.000 scudi che furono usati, come richiesto del donatore, per l’acquisizione di “opere di belle arti, antiquaria e filologia”. Il Magno, preoccupato maggiormente della conservazione che dello sviluppo della biblioteca, decise di raccogliere tutti gli incunaboli e riporli in uno stanzino, creandone anche una specifica catalogazione in tre ricchi ed accurati volumi. Grazie a tutto ciò sembrava che la Casanatense tornasse al decoro degli anni antichi.
Con la presenza del De Ferrari come prefetto (1840-1852) furono portati a termine i cataloghi dei manoscritti e l’inserimento di questi nel catalogo dell’Audifreddi come tre appendici. Tuttavia i problemi per la Biblioteca non erano conclusi, ma grazie all’abilità del De Ferrari riuscì a superare i moti repubblicani del 1849 senza gravi problemi se non la chiusura al pubblico per qualche mese.
Arrivo degli italiani (leggi del 1866-1867-1873)
Con le leggi del 1866 e del 1867 il Regno d’Italia iniziò la “liquidazione dell’asse ecclesiastico”; esse prevedevano l’incameramento dei beni ecclesiastici, anche per far fronte alle guerre con l’Impero Austroungarico. Tuttavia questo fantasma non sembrava interessare direttamente Roma ma, a seguito della presa dell’Urbe e della breccia di Porta Pia il 20 settembre 1870 da parte del Regno d’Italia, la legge del 19 giugno 1873 estese la liquidazione e l’incameramento dei beni ecclesiastici anche nei territori del disciolto Stato Pontificio e di conseguenza anche nella nuova capitale d’Italia.
Dopo lo sforzo economico e bellico per “fare l’Italia” il governo iniziò a “fare gli italiani” riflettendo quindi sul progresso agricolo, commerciale e su una nuova concezione d’istruzione pubblica unitaria. Fu a questo punto che a Genova nel 1867 fu fondato il “Giornale delle biblioteche”, rivista di bibliotecari che denunciava il disinteressamento per il mondo bibliotecario, traducibile con la mancanza di fondi per l’ampliamento bibliografico e per la conservazione del patrimonio esistente. Alle nostre biblioteche si riconosceva un primato di sapere e di patrimonio bibliografico superiore a qualunque altro paese, ma esse erano congelate per la reale mancanza di sussidi essenziali per la sopravvivenza e la crescita di qualsivoglia istituto bibliotecario.
Fondazione della biblioteca “Vittorio Emanuele II”
Il ministro Bargoni nel 1869 stabilì la creazione di tredici biblioteche generali, le sole che il governo dovesse sovvenzionare; ma il progetto del Bonghi, successore di Bargoni, fu quello di istituire una biblioteca centrale nazionale a Roma, la “Vittorio Emanuele II”; ciò fu voluto per dare un simbolo alla città, più che per reali esigenze, data la presenza già di quella di Firenze. Oltre tutto, questa scelta creò dei problemi di identità delle altre numerose biblioteche storiche in città, in primis quella Casanatense che si trovava a pochi metri di distanza, poiché come sede della Vittorio Emanuele II fu scelto il palazzo cinquecentesco del Collegio Romano che era della Compagnia di Gesù.
Negli anni precedenti al 1876, anno di apertura della “Vittorio Emanuele II”, ci furono vari pensieri ed idee per la sua attuazione e la sorte della Casanatense fu varie volte intersecata con la nascente Biblioteca Centrale di Roma: dapprima si vedeva nella Casanatense la sede naturale della Centrale, ma i problemi di spazio erano riduttivi e quindi si pensò a un suo allargamento verso il Collegio Romano; poi sull’onda di quanti ritenevano la necessità di una separazione anche pratica tra la Biblioteca Pubblica e quelle dell’“ancien régime”, anche per conservarne la loro integrità. Successivamente si tornò all’idea di collegare la Casanatense ed il Collegio Romano mediante una passerella sopra la via S. Ignazio. Si iniziò lo spostamento dei fondi provenienti dalle altre biblioteche religiose, ma la situazione degenerò poiché la Casanatense non era in grado di assorbire tale patrimonio, più di 400.000 volumi ammassati, così si decise in tutta fretta di trovare un’altra soluzione rapida e veloce. Si decise quindi di usare ex novo il Collegio Romano.
Per 7 anni i direttori delle due biblioteche furono gli stessi, e così ovviamente si dedicarono maggiori energie per seguire la Nazionale trascurando la Casanatense. La situazione della Biblioteca continuava a deteriorarsi e non migliorò neppure quando nel 1880 l’amministrazione passò direttamente sotto il Ministero della Pubblica Istruzione. La presenza della Nazionale fece sì che le altre biblioteche per sopravvivere dovettero trasformarsi e specializzarsi e fu così che, per ignoranza dei direttori, la Casanatense divenne un museo.
1884 fine delle controversie fra ordine domenicano e Stato italiano
Nell’ottobre del 1873 la Giunta di liquidazione occupò la Casanatense ritenendo che essa fosse stata del convento, cosa che abbiamo visto mai fu essendo stata creata fin dalle sue origini come ente a sé stante, già dal lascito testamentario del cardinale Casanate. I frati quindi si appellarono al tribunale civile per fare notare la contraddizione tra quanto prevedeva la legge di soppressione e quanto invece lo Stato stava facendo. Alla fine del processo si trovò un compromesso, ovverossia la presenza di un direttore laico, nella fattispecie il matematico Gilberto Govi, riducendo così i frati domenicani ad un semplice
lavoro subalterno.
Infine il tribunale alla fine del 1884 decretò. I domenicani risultarono nel torto ed in pochi mesi lasciarono definitivamente la biblioteca che per 183 anni era stata gestita quasi ininterrottamente da loro. Il nuovo direttore fu Carlo Galgiolli che si mise subito al lavoro per cercare di darle quella gloria che aveva nel XVIII secolo. Cercò di rientrare in possesso degli spazi che erano della biblioteca, ma un giallo sulla scomparsa di una quattrocentina, poi ritrovata dal suo successore, fece sì che Galgiolli fosse espulso.
Catologhi e fondi attuali
Nell’ultimo secolo il patrimonio della Casanatense si è almeno raddoppiato; tra gli studiosi di oggi l’immagine della biblioteca è cambiata solo in parte rispetto ai tempi dell’Audifreddi. Quella che allora era materia di studio ora è diventata testimonianza del passato e la Casanatense ha perso quel carattere di laboratorio creativo che aveva per alcuni degli intellettuali più vivaci del secolo XVIII ed in parte del XIX. Se alcune discipline offrono ancora una documentazione aggiornata agli sviluppi correnti, altre sono decisamente congelate nello stato in cui erano cent’anni fa; altre ancora vivono in uno stato di ambiguità precaria, grazie ad acquisti discontinui, penalizzati dall’insufficienza delle risorse.